«Passa, passamela, Chloe!» urlò Faith, mentre si disponeva in posizione tale da accogliere la palla.
Sveltamente l’amica gliela tirò, e lei con un energico balzo l’afferrò, ma sentendosi qualcuno troppo vicino alle spalle, si girò di scatto e lo centrò con una gomitata.
Si udì un fischio riecheggiare nella palestra. «Monroe!»
Faith sospirò, guardando mestamente la sua compagna stesa a terra che si teneva il naso sanguinante, e si accucciò per aiutarla a mettersi in piedi. «Paulette, scusami, come ti senti?»
La ragazza scrollò leggermente la testa, tuttora intontita per il ferino colpo inflittole. «Sto bene, grazie, però stai più attenta la prossima volta. Stiamo giocando a basket, non alla boxe tailandese.»
«Lo so, perdonami, ma ti ho sentita dietro e…»
«Che significa, è naturale che io cerchi di toglierti la palla, o pensi che questo sia uno sport individuale?» si seccò l’altra, sbandierandole un’espressione riccamente criticante.
«Già, hai ragione, mi dispiace. Vieni, ti accompagno in infermeria» si offrì, prendendola delicatamente sottobraccio.
«Dove va, Monroe!»
Lei si frenò, e si volse in corrispondenza dell’insegnante con un’aria interrogativa, da cui trapelava la netta convinzione dell’inutilità di una così enunciata domanda. «Beh, stavo accompagnando Paulette in inf…»
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«Se ne occuperà una sua compagna, lei vada subito nell’ufficio del nuovo psicologo della scuola» le ingiunse l’uomo, parecchio irritato da questo ennesimo grattacapo.
Al soggetto enunciato Faith sprigionò un sospiro di sollievo, almeno non la stava mandando dal preside, e ciò dunque poteva ritenersi un male minore. Così, dopo un cenno acquiescente si avviò con calma in direzione degli spogliatoi.
«Monroe, dove diamine sta andando?» la richiamò l’uomo, in un atteggiamento maggiormente ostile.
«Logico, a cambiarmi, non sono presentabile» si sconcertò, con un fare anche alquanto seccato, visto che era praticamente nuda con quel ristrettissimo pantaloncino e la canotta che le evidenziava ben troppo procacemente le curve, senza contare la nutrita visibilità di tutto il resto. Perciò non era né consigliabile né tanto meno virtuosamente appropriato che se ne andasse a zonzo per la scuola in quella mise diciamo pure, vacanziera.
«Non dica castronerie, tenga.» Al contrario l’uomo non se ne curò affatto, presumibilmente per il soggetto esasperante che non lasciava alcuno spazio a regole e raziocinio, indi per cui le passò concitatamente un biglietto scritto con nevrotica mano, da consegnare allo psicologo.
«Ma non posso aggirarmi in queste condizioni per i corridoi del liceo!» avvampò lei, ripensando ansiosamente a Klein. Non voleva farsi vedere così, principalmente non da lui, no, era davvero troppo imbarazzante.
L’insegnante batté un sempre più concitato piede sul lucido parquet. «Monroe, vuole che la faccia sospendere?»
«Ovviamente no, ma…»
L’uomo rincarò la sua malevolenza, quella sorta di muraglia cinese gli indiavolava tutti i capelli. «E allora si muova, è già fortunata che non la spedisco dal preside, le è chiaro il concetto?»
«Chiarissimo…» s’immusonì, agguantò sbuffante il biglietto e, a spalle ricurve, si recò placidamente alla sua destinazione.
«È aperto.»
A testa semibassa Faith si addentrò nella stanza e con fare timido si fece avanti.
Nick la guardò perplesso. «Non prevedevo di rivederla così presto, miss Monroe.»
«Beh, sì, insomma…» cincischiò, tremendamente imbarazzata, sia per la sua succinta mise, che per il reale motivo per cui si trovava lì.
Dopotutto, le sarebbe dispiaciuto se l’uomo avesse generato una pessima opinione su di lei, specialmente perché sembrava una persona in gamba e lei ci teneva alla sua stima. Inoltre l’aveva anche coperta nell’ultima occasione, pertanto si vergognava di porlo in una condizione scomoda nei riguardi del preside.
«Vedo che ha ascoltato il mio consiglio» si compiacque lui, ornando un lieve sorriso.
«E quale?» si svampì, corrugando indagante la fronte.
«Il suo abbigliamento, anche se ritengo sia un po’ eccessivo, non alludevo certo a questo» focalizzò lui, continuando a sorriderle con aria indulgente.
«Ah… no, ero alla lezione di Educazione Fisica e non ho avuto modo di cambiarmi.» E gli allungò il biglietto, sospirando e sbuffando assieme.
Serenamente lui glielo tolse dalle mani, lo lesse e subito rise, scuotendo lieto la testa. «È proprio incredibile.»
«Che cosa?» Come un lampo si mise sul chi va là.
«Nulla, forza, si sieda» la indusse, gentile e ancora sorridente.
Faith si sedé di fronte a lui, lui che fu istantaneamente attirato da un qualcosa che non gli piacque affatto.
«Si è fatta male, miss Monroe?» postulò, irrigidito, fulmineamente incupito.
«Non mi pare… perché?» cincischiò, nel presumere che si riferisse all’incidente avvenuto pocanzi in palestra.
Nick le indicò con lo sguardo una ferita recente, per via del colore e della deformazione dell’epidermide, stretta e lunga che lei esibiva dalla spalla fin sopra il gomito.
«Oh, no…» E distrattamente cercò di coprirsela con una mano. «Ho solo sbattuto.»
«Contro una cinta?» Era ancor più adombrato, gli occhi fissi sulla ferita.
Lei non poté ribattere e reclinò lo sguardo.
Nick respirò a fondo, lanciò la penna sulla scrivania e si alzò, la aggirò e si appoggiò seduto sul bordo di essa, di fronte alla ragazza.
Faith si teneva con il capo reclinato, intimidita dal contesto, anche per quella vicinanza, quegli occhi scrutatori che non l’abbandonavano neppure per un secondo. Ma poi con la coda dell’occhio lo intravide inclinarsi su di lei ed avvolgerle delicatamente il braccio per farla alzare in piedi.
© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto
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