Sharise squadrò l’uomo per qualche secondo e si approssimò di nuovo a lui, scuotendo appena appena la testa per lo stupore.
«Lei sa come mi chiamo?» lo interpellò, senza eccessive perifrasi e pure un po’ aspramente, pensando al contempo che la sensazione da cui era stata invasa sin dall’inizio, e cioè di conoscerlo, non fosse affatto da accantonare.
«È sulla sua divisa» le rammentò lui, in completa calma, stendendosi sul succinto schienale per dilettare i suoi muscoli ancora intorpiditi dalla lunga traversata compiuta.
«Ah…» traccheggiò, guardandosi l’indumento sul quale era ricamato il suo nome. «Mi scusi se sono stata così brusca, però sa… insomma, da queste parti…» Ma in tronco si censurò, essendosi resa conto di porgere una poco onorevole immagine del luogo dove lavorava che, a parte tutto, era di proprietà di una sua carissima amica.
«Capisco» aderì lui, ornando un’espressione comprensiva, nell’aver afferrato il concetto, giacché Sebastian, sempre furtivamente, aveva studiato con attenzione l’atteggiamento dei clienti seduti al banco, rapaci e dotati di un gran pessima educazione.
Lei fletté un sopracciglio, un po’ irritata per via di quella sua sottile insinuazione, aveva intuito benissimo a cosa si riferisse. «E cos’avrebbe inteso?» lo dardeggiò, d’impulso, senza riuscire a trattenersi.
Sebastian inclinò il capo a destra e le sorrise, in una foggia talmente accattivante che lei subito si contrasse, si disorientò, sentendosi di colpo il bersaglio di quell’essere incantatore. Quindi, per non cadere a tambur battente nella trappola di quell’ennesimo cacciatore di teste, forzatamente serena gli domandò: «Desidera qualcos’altro?»
«Ghiaccio» menzionò lui, usufruendo di un immutato tono pacato, e lei tirò indietro il mento, ancor più scombussolata da quella forma di esprimersi, tanto concisa ma densa di sottintesi.
«Per il tè, lo vorrei più ghiacciato, se non le dispiace» le specificò, avendo adocchiato la sua repentina perplessità.
«Oh…» schivò lei, con un gesto di scuse. «No, ma le pare, glielo porto subito.» Ed agguantò il bicchiere per inserirvi qualche cubetto.
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«Grazie» si limitò a proferire lui, nell’attimo in cui Sharise glielo risistemò sul bancone, e le indirizzò un ulteriore sorriso, iniziando ad addentare il suo sandwich.
Lei stette fissa ad osservarlo, pensierosa e assai intrigata da quella persona all’apparenza ombrosa eppure molto fine e cortese, difficile poterne incontrare in quel luogo. Più precisamente, la sua modalità di presentarsi le stimolava astrusi pensieri, perlopiù genuina curiosità, dato il suo essere di poche parole ma che troppo espressamente dimostrava tanto da dire, un tipo che sapesse di certo il fatto suo.
Ma si riacquisì alla svelta, sempre nell’essersi percepita sfrontata e che appunto per tale ragione, palesava un atteggiamento ovviamente istigante, per non dire adescante, cosicché alzò i tacchi e si diresse alle cucine.
Con la coda dell’occhio Sebastian la guardò dissolversi oltre le porte, affondando tempestivamente nelle sue meditazioni. Ma per non trarre deduzioni vanamente frettolose, produsse nella sua mente un paio di rapide considerazioni e si concentrò sulla sua colazione.
«Sharise, ti sei per caso barricata qui dentro a causa di Tom?»
«Oh, no, no…» sviò lei, con aria indifferente, mentre aiutava Rush a sistemare un paio di hamburger su un piatto. «Per la verità gradirei che mi sostituissi tu al banco, Darcey, se non ti è di tanto disturbo, oggi non mi sento tanto socievole. E non è per Tom, non darti pensieri, so tenerlo a bada.»
«Uhm…» E la scrutò. «Non sarà mica per quel forestiero con gli occhi di ghiaccio e i capelli d’ebano che hai servito mezz’ora fa?»
«Ma che vai a spettegolare!» s’incappellò lei, guizzante, eppure quelle parole furono tradite da un tenue colorito aragosta che emerse brusco e ammutinante sulle sue guance. «Certo che no, come ti spuntano queste idee. Piantala, mi stai trattando come una scolaretta alle prime armi.»
«Beh, a giudicare dalla tua reazione abbastanza animosa, direi invece che non me la stai raccontando giusta» infierì bonariamente la donna, rispedendole uno scaltro sorriso.
«Ti prego, Darcey, sono stanca, oggi è una pessima giornata. Sono anche appiedata e il meccanico, proprio stamattina, mi ha confermato che ci vorrà più del previsto per sistemare la mia auto.» Ed esalò un pingue sospiro scoraggiato, ripristinando, a causa dell’insorta afflizione, il colore originale del suo viso.
«Ancora?» si stupefece l’altra. «Ma è più di una settimana, non la starà mica ricostruendo!»
«Non me ne parlare, è davvero uno strazio, non ne posso più di spostarmi con i servizi pubblici, senza contare che non conoscendo bene le coincidenze, arrivo sistematicamente in ritardo dovunque.» Sospirò ancora. «Poi, se vogliamo dirla tutta, il più delle volte sono obbligata a chiedere passaggi a destra e a manca, neanche fossi una poveretta di strada che non ha i mezzi per cavarsela da sola, e la cosa mi disturba terribilmente.»
«Lo credo bene, anche per me sarebbe insopportabile.» E la guardò comprensiva. «Comunque quel tale è appena andato via, perciò ora puoi uscire dalla tua tana» sghignazzò, più oltre, non avendo affatto creduto al suo pretesto.
«Darcey!» la strigliò, con fulminea foga, porporeggiandosi in un colpo di ciglia. «Sei sempre la solita impertinente, non la finirai mai di mettermi in imbarazzo, non è così?»
«Ci puoi scommettere!» gongolò l’altra, entusiasta di averla colta al tallone, tutta imporporata e fremente. «È troppo divertente, non posso resistere.»
«Come no, e ti diverti alle mie spalle. Grazie, grazie mille» biascicò, imbronciandosi in un battibaleno, infuriata principalmente con se stessa per non essere ancora in grado di controllarsi, in particolar modo quando si parlava di uomini, o meglio, d’individui di quella fattura.
«Ehi, tesoro, lo sai che è del tutto innocente e che non vi è nessuna malizia da parte mia, è solo per farti capire che è inutile che tu menta, non ne sei proprio capace. E comunque parli attraverso i tuoi occhi, per non dire che da come agisci s’intende a menadito quello che pensi, nella maggior parte delle volte in netto contrasto con quello che vorresti far credere.»
«E cosa vorrei far credere, secondo te?» approfondì lei, esplorandola attenta, estremamente guardinga.
«Che sei dura e inaffondabile, mentre invece sei ancora un cucciolo indifeso dal cuore tenero, in balia dei tuoi sentimenti.»
«Ehi!» si arrovellò, rizzando le spalle per rimpettirsi. «Non esagerare, mi fai sembrare una stupida.» E si voltò alla sua destra, dove Rush stava giocosamente ridendo sotto i suoi folti mustacchi sfumati di grigio.
«Rush! Non ti ci mettere pure tu adesso… ma che cos’è questa, una cospirazione?»
E tutti i presenti esplosero in un riso esilarato, ad un punto tale che Sharise s’invelenì, sentendosi schernita agli eccessi dai suoi colleghi di lavoro.
© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto