PAURA DEL BUIO, Cap. 1

«Eccolo, sta arrivando.»

La classe si ammutolì, nel mentre che Alexander Lukas varcava, visibilmente spossato, la soglia di una delle grandi aule della Columbia University, per dare inizio ad una sua nuova lezione.

«Caspita, Steph… guardalo, guarda com’è affascinante in giacca e cravatta» confabulò Lisa, una studentessa del suo corso, intanto che lo rimirava depositare la sua ventiquattr’ore sulla cattedra. «Non lo avevo mai visto vestito in questa mise, è sul serio grandioso, potrei anche dire divino

«Già, di solito si presenta con un abbigliamento casual, è sempre uno schianto, ma con quel completo scuro è seriamente irresistibile. Amplifica alla grande la sua autorevolezza» approvò l’amica, a bassa voce per non farsi ascoltare dall’uomo, giacché il momentaneo silenzio incombente nel luogo avrebbe potuto consentirgli di udire i loro apprezzamenti. E lui non avrebbe di certo gradito, data la sua esagerata irreprensibilità, senza poi tralasciare la sua austera inflessibilità.

In fondo Alexander Lukas era un loro docente, inoltre erano esse delle giovani matricole e, di base, determinate seppur irrisorie inclinazioni amorali, erano per lui inammissibili, come in più di una occasione aveva trapelato dai suoi atteggiamenti, nonché espressamente attraverso le sue severe parole.

«Chiedo scusa per il ritardo, ma ho dovuto partecipare al consiglio di facoltà, siamo pronti per iniziare. Allora, oggi parleremo di…» intraprese l’uomo, ma s’interruppe, nell’aver cominciato a udire molteplici ed ostinati, molesti commenti.

«Per favore, gradirei un po’ di attenzione, fate silenzio» pretese, ergendo il capo verso le ultime gradinate dell’auditorio dove il vociferare era più fitto. Si tolse la giacca, la lanciò sulla sedia dietro la sua scrivania ed allentò il nodo della cravatta, insieme al primo bottone della candida camicia da cui risaltava a meraviglia, come in un bagliore, la sua cute naturalmente dorata.

Si scorciò le maniche e prese tra le mani un libro di testo, sedendosi sul bordo della scrivania.

«Bene» annotò, mentre sfogliava alcune pagine, avendo assodato di aver ristabilito un adeguato ordine.

Tuttavia fu interrotto da un ennesimo vocio, questa volta provocato dalla porta d’ingresso situata di fianco a lui che si era schiusa, e si volse in quella direzione piuttosto seccato, a causa di quell’imprevista, non autorizzata intrusione.


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Stette con gli occhi fissi sulla soglia per identificare le due figure che stavano apprestandosi ad entrare nell’aula, e riconobbe in esse il professor Janckins che avanzava con un perfetto sorriso stampato sulle sue labbra, seguito da una donna sconosciuta, poco più che trentenne, abbigliata con un tailleur piuttosto stringato e che esibiva un’aria alquanto altera, la quale istantaneamente lo infastidì.

«Scusate il disturbo» s’incanalò l’uomo intervenuto, rivolto alla classe, e si orientò verso di lui, tendendogli la mano. «Lex, buongiorno, volevo presentarti la dottoressa Katherine Reims, è una nuova docente dell’area di studio di Filosofia.»

E ruotando il volto in corrispondenza della donna che gli sostava affianco, per perfezionare le presentazioni Janckins le espose: «Lui è il professor Alexander Lukas, insegnante di Letteratura Comparativa e Società, Letteratura Rinascimentale, nonché di Letteratura e Politica.»

Lei gli porse con cortesia la mano per stringere la sua, ma discerné subito l’espressione indurita dell’uomo, che le riservò inaspettatamente un’occhiata davvero poco cordiale.

«C’è qualche problema?» postulò, arricciando indagante le sopracciglia, ma Lex non la calcolò, e rivolgendosi al suo collega inquisì: «George, hai detto di Filosofia

«Esatto, Lex, per la precisione Filosofia Sociale e Politica, purtroppo il ricorso non è stato accettato, me ne rammarico. Comunque…» E tossì leggermente, allo scopo di stemperare un po’ la tensione, avendo distinto nello sguardo del suo interlocutore un’evidente, spiccata contrarietà che lo aveva un tantinello inibito. «La professoressa Reims è stata presentata dallo stesso rettore ed è stata scelta per l’incarico, dato che in aggiunta ha esposto ottime credenziali. Il dottor Cohen si è raccomandato in prima persona affinché la signora fosse presa in considerazione per la cattedra, pertanto è più che accertata la sua competenza in merito alla materia che insegnerà qui al college.»

«Immagino» alluse lui in tono sarcastico, forse sprezzante, saettandole un’ulteriore occhiata di riprovazione. «E quindi? Per quale motivo ti assumi l’onere di presentarmela?»

«Beh…» L’uomo titubò, intuendo a cosa lui si riferisse, ma preferì eludere l’argomento. Gli occhi degli allievi erano tutti puntati su di loro, per non parlare delle orecchie ben tese che stavano ovviamente ascoltando con dinamico interesse quell’inusuale conversazione, forse in cerca di risvolti pepati, a giudicare da come si erano messe le cose.

Sicché, per evitare l’insorgere di pettegolezzi imbarazzanti, Janckins annoverò: «Considerando che la maggior parte degli studenti iscritti ai tuoi corsi parteciperà anche al suo, e poiché c’è una data peculiarità tra le discipline che insegni e la sua, la professoressa ha richiesto di assistere ad una tua lezione. Spero che questo non sia di troppo intralcio per te e che le permetterai di rimanere qui, oggi.»

«Non vedo quale beneficio voglia trarne» commentò lui, ancor più sardonico.

«Mi scusi, professor Lukas» s’inserì lei, serena e compita, guardandolo dritto, tranquillamente negli occhi. «Ho sentito  parlare molto bene di lei, perciò sarei onorata di presenziare alla sua lezione e, se possibile, anche di collaborare insieme per elaborare un programma di studio idoneo che possa essere interscambiabile con le sue materie, e di conseguenza fornire un insegnamento che ambisca ad essere completo. Tendo sempre ad essere una perfezionista nel mio lavoro, e quando ho la possibilità di aver a che fare con professionisti estremamente competenti, gradisco, come suol dirsi, unire le forze.»

Lex la fissò per alcuni istanti assai scettico, ma in seguito, dipingendo un’espressione salace, sempre più avversa sul suo volto, «Dubito che i nostri rapporti possano uscire fuori da quest’aula, signora Reims, sono abituato a lavorare da solo e, come lei, ambisco a collaborare con persone estremamente competenti» rigettò, insinuando un sottile, ma graffiante doppio senso.

La donna restò interdetta, non riuscendo ad intendere la motivazione di codeste parole, astrusamente sgarbate e intrise di astio ed eccessiva acredine. Eppure non si fece cogliere indignata, e gli lanciò uno scintillio dagli occhi che attraversò le lenti dei suoi occhiali.

«Nessun problema, professore» compitò, denominandolo con il suo titolo e cadenzandolo con cura, al contrario di come aveva messo in atto lui, chiamandola semplicemente signora. «Vuol dire, allora, che se lei me lo permetterà, assisterò a queste due ore di lezione, senza pretendere null’altro.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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