IL LAGO DEL CIGNO di Federica Vello

Il Principe era stanco, erano ore che in sella al suo destriero, percorreva tortuosi sentieri per il suo ritorno al castello. Era stato in guerra, ma, avvisato da un corriere di Corte, aveva dovuto subito mettersi sulla via di casa, in quanto il drammatico messaggio riportava che il Re suo padre, era in punto di morte.

Giungere al suo capezzale in tempo, ecco cosa doveva fare. Non poteva fermarsi, non poteva riposarsi, doveva continuare e continuare… fino a che avesse avuto un briciolo di energia da spendere.

La notte era scesa lenta, come l’incedere del suo destriero, anch’esso assai provato dalla scattante andatura, che per giorni aveva ininterrottamente sostenuto.

Giunto ad una radura, il Principe convenne che sarebbe stato meglio far rifocillare il cavallo. Alla fine del sentiero si udiva un setoso rumore di acqua dolce increspare i fili d’erba, di certo c’era un lago, e florida vegetazione abbondante per nutrirlo.

Smontò dalla sella ed afferrò le briglie, per liberarlo un po’ dal suo peso, camminando alquanto a stento per i suoi muscoli che poco rispondevano ai comandi della sua mente, per quanto esausti.

Era una notte splendida, stellata e dominata dalla Luna, lo specchio d’acqua la rifletteva come una enorme perla che sembrava voler emergere dalle acque, pulita, luminosa, piena. Gli alberi intorno al lago ritmavano una soffice danza insieme al lieve respiro del vento che ne accarezzava il fogliame, nel mentre che fiori ed erba tutto intorno alla riva si muovevano in sincronia, come guidate da un maestro d’orchestra. Gli sembrò addirittura di udire musica, delle voci cantare una soave ma struggente melodia, a tratti malinconica. Sembrò una Magia.

Il Principe si scosse con tutta la sua testa, molto probabilmente la stanchezza era assai più beffarda di quanto avesse presunto, e decise così di farne rifugio per la notte. Per quanto rigogliosa la vegetazione e dunque generosamente ospitale per qualunque sorta di creatura, era eppure un posto totalmente desolato, pertanto nessun rischio avrebbe corso se si fosse addormentato in quel luogo. All’alba avrebbe ripreso il viaggio.

Liberò il cavallo dalla sella, che usò come cuscino, e lo legò ad un albero, abbastanza lento da lasciargli la possibilità di brucare l’erba lì intorno.

Toltosi l’armatura, si sdraiò e si coprì col mantello. Non aveva fame, né sete, stranamente, aveva soltanto un gran bisogno di dormire, di chiudere gli occhi.

Il sonno lo colse pressoché all’istante, un sonno profondo, ma che fu subito occupato da un sogno, il quale parve così vivido e reale, che il Principe ebbe l’impressione di essere ancora sveglio.


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Lo scenario era lo stesso, il lago, la riva, il cavallo che brucava l’erba… e la Luna che da lassù, brillava imperitura.

Il Principe era in ginocchio, sulla riva del lago che gli mostrava la sua immagine. La osservava, osservava il pigro ondeggiare dell’acqua per via di quel venticello che non aveva mai cessato di attraversare la radura, finché una folata più forte la raggrinzò e quasi cancellò, deformandone i contorni.

Quando la sua immagine riapparve, vide uscire da dietro le sue spalle due grandi ali bianche, simili a quelle di un Angelo, che parevano spuntare dalla sua schiena. Guardò con più attenzione, e si rese invece conto che si trattava delle ali di un uccello, le quali si agitavano dall’alto in basso molto lentamente, come a voler spiccare il volo.

Poi vide spuntare dall’alto della sua testa un lungo e sinuoso collo bianco, che terminava con un becco nero come la notte, due occhi così luminosi da sembrare due luci nell’oscurità. Era un cigno.

Il Principe abbandonò l’immagine per voltarsi, ma quando lo eseguì l’uccello era sparito. Non si rendeva conto di essere ancora nel sogno, giacché era ancora così reale da essere reale.

Allora si guardò intorno per averne certezza, tutto era identico come nei suoi precedenti minuti di veglia, solamente una cosa non era la stessa, una cosa che dapprima non aveva notato: al centro del lago sorgeva una specie di isolotto, non era grande, giusto il posto per farci erigere un albero e qualche cespuglio di rose. Ma, l’albero, non sembrava un semplice albero, mostrava dei frutti dalla forma insolita, ed erano blu, e fu da questo che egli prese coscienza di essere in un sogno. Non esistevano frutti blu di quella forma, non in Natura.

Ebbe uno spasmodico impulso di gettarsi in acqua e raggiungerlo. Quell’albero era talmente invitante da non poter resistere, come i suoi frutti, sembravano calamitarlo.

Stava per tuffarsi in acqua, che una voce tonante lo bloccò. Si orientò verso di essa e rivide il cigno, grande, bianco e splendente come cristalli di neve, ed un’aurea luce tutta attorno da farlo assomigliare realmente ad un Angelo.

«Fermo, Principe» gli impose con voce seria.

«Chi sei?»

«Sono il Signore di questo lago.»

«E quell’albero? Cos’ha di così particolare, perché mi sento così incredibilmente attratto?»

«È l’Albero della Vita. I suoi frutti sono divini, e per questo miracolosi.»

Il Principe ebbe un’idea, una speranza si affacciò al suo cuore. Se avesse colto un po’ di quei frutti, forse avrebbe potuto guarire il padre.

«Fermo» ripeté il cigno, che aveva compreso le sue intenzioni.

«Sono in un sogno, cosa mai potrebbe accadermi?»

«È vero, ma la tua vita in questo sogno è collegata alla tua vita nel mondo della veglia.»

«E perché dovrei morire? È solamente acqua che mi divide dall’isola, una semplice nuotata non sarebbe affatto pericolosa.»

«Guarda meglio, Principe.»

Egli allora scrutò le acque del lago, e si accorse solo in quel momento che brulicava di grossi mostri deformi e spaventosi. Nessuno si sarebbe tuffato in quelle acque, nessuno che avesse avuto un briciolo di amore per la vita.

«Ho combattuto mille battaglie, non saranno un paio di mostri o qualche strano pesce a fermarmi» disse invece il Principe, per nulla intimorito.

«Lo so. So che sei un valoroso condottiero, coraggioso e sei stato scelto per questo. Ma nei sogni non funziona come nella vita reale, le regole sono differenti. Come avrai intuito, quei frutti potranno guarire il Re e sottrarlo alla morte. Io ti svelerò come arrivare all’isola per coglierli, io non posso prenderli per te perché non mi è concesso di arrivare fin lì. Ma c’è una cosa che dovrai fare per me, in cambio.»

«Tutto ciò che mi chiederai.»

«Come hai potuto vedere, il lago è disabitato. Gli alberi piangono, e con essi i fiori cantano il ritorno, il ritorno alla vita del lago.»

«Cosa è accaduto?»

«Un maleficio. Gli abitanti sono stati rapiti, e da allora le loro anime vagano come fantasmi.»

«Tu no?»

«Io no. Perché il colpevole sono io. Sono stato condannato ad un’eternità di solitudine.»

«Cosa dovrò fare?»

«Recuperare una gemma, uno zaffiro. In esso sono stati intrappolati gli abitanti del lago, e se tu me la portassi potranno essere finalmente liberi.»

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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