LO GNOMINO DELLA TERRA INCANTATA di Antonella Pece

In una verdeggiante foresta, abitava uno Gnomino piccolo piccolo, con un grande cappuccio rosso alto due volte più di lui. Pochi amici aveva lo Gnomino, era un solitario ma tanto amante della Natura e dei suoi amici animaletti, un passerotto, una lumachina ed una grossa lucertola. Questi animaletti erano tanto carini, il passerotto lo faceva volare, la lumachina lo aiutava a trasportare i suoi attrezzi quando lui era stanco, e la lucertola faceva la guardia alla sua casetta.

Lavorava però, moltissimo, lavorava e lavorava, nelle profondità della Terra ed era custode di un grande tesoro che Madre Natura gli aveva affidato, ingiungendogli di custodirlo con cura, per colui che un giorno sarebbe arrivato per prenderselo.

Lo Gnomino, tanto servizievole e accomodante, era però molto curioso, o piuttosto, la curiosità lo divorava proprio, ed ogni notte, quando faceva la ronda finale prima di tornarsene alla sua casetta, si sedeva accanto allo scrigno e, interrogando Madre Natura, dondolando domandava: «Oh, Madre, come ogni giorno ho fatto il mio dovere, ho scavato nella roccia ed ho lavorato alla mia fucina, ora… non puoi soddisfare la mia curiosità? Ti prego… solo questo, dimmi per chi è questo pregiato tesoro.»

«Lo saprai a tempo debito, Gnomino caro.»

«Ma perché! Perché non posso sapere, dopotutto sarebbe meglio, cosicché quando questo valoroso Cavaliere verrà a reclamarlo, io sarò pronto e lo riconoscerò, non mi opporrò inconsapevolmente al tuo volere.» S’infurbiva, di volta in volta.

«Chi ha detto che è per un Cavaliere?»

«Madre! Sarò pure piccolo piccolo ma non sono uno sciocco… un così prezioso tesoro non può che essere destinato ad un nobile Cavaliere… oppure si tratta di un Re? Un Principe?» fremeva, con questo piccolo tranello.

Ma, ciò che lo incuriosiva in maggior misura era il perché, di tanta solennità, doveva essere una cosa seriamente importante per sacrificare la vita di un abitante del Piccolo Popolo e destinarla ad esclusiva guardia del tesoro e, pure sentendosi fiero ed orgoglioso di siffatto incarico, si sentiva anche un po’ messo da parte, come un garzone tontolone che non fosse abbastanza degno da conoscere questo grande segreto. Partiva dal nome, per poi scaltramente arrivare a conoscerne la storia, prendere due piccioni con la stessa fava.

Però, come ogni notte, Madre Natura chiudeva la porta del silenzio, non diceva né più né meno di quanto dovesse, e lo Gnomino, imbronciato, raccoglieva tutti i suoi attrezzi e le sue forze per incamminarsi sulla via di casa.

I giorni passavano lenti, ed anche alquanto noiosi, fare sempre le stesse cose, da centinaia di anni, cominciava a pesargli, e pensava : “Spero che questo Cavaliere arriverà prima di quando morirò, mi dispiacerebbe aver vissuto tutto questo senza poter veder concretizzato il mio scopo…”


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Gli Gnomi hanno vita lunga, alcuni di essi possono arrivare addirittura a cinquecento anni, a dispetto del loro aspetto che rimane sempre gioviale, seppur canuto, tanto da non accorgersi della loro vecchiaia incalzante.

Lo Gnomino non li contava, in verità si era perso verso i centocinquanta, i compleanni erano diventati tutti uguali così come la sua vita, e si era da ultimo concentrato sul suo dovere, giorno dopo giorno, lasciando volare gli anni come le rondini a Primavera.

Finché, una mattina più assolata del solito, non si presentò all’uscita della galleria, piccola apertura in un tronco d’albero proprio vicino alla sua abitazione, un Elfo.

Lo Gnomino stava uscendo giusto in quell’istante, la fretta della mattina aveva fatto sì che dimenticasse, stranamente, il suo pranzetto al sacco e, giungendo l’ora di pausa, la fame che si era fatta insolitamente sentire vorace, era stato costretto a lasciare la caverna per risalire lungo la galleria fino alla sua casetta.

Appena lo vide si sbarrò. “Sarà mica lui…” pensava lo Gnomino, sbalordito. Mai nessuno si era fatto vivo in quella zona, né i suoi compaesani Gnomi né tanto meno creature facenti parte di altre razze, e questo Elfo aveva una specie di aria solenne, come se fosse un messaggero o addirittura il destinatario di quel grande premio.

L’Elfo molto calmo gli si avvicinò, fece un piccolo inchino ed affermò: «Sono Xyrox, il tuo factotum.»

Lo Gnomino spalancò gli occhi. Che la fame gli avesse dato le allucinazioni? Scrollò un pochettino la testa e corrugando la fronte domandò: «Chi ti manda da me, Elfo solenne?»

«Il Fato» disse l’Elfo.

Sempre più sbigottito, lo Gnomino lo squadrò per qualche secondo, cercando di vederci chiaro. «E cosa dovresti fare?»

«Qualsiasi cosa tu desideri, sono al tuo servizio.»

Incredibile! Un Elfo al servizio di uno Gnomo, e dove s’era visto mai? Non che quella degli Elfi fosse una razza superiore, però era di tutt’altro stampo. Fiera e molto sensibile, era di certo più portata alla delizia degli animi, piuttosto che al servizio di una qualunque altra creatura della foresta.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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