Il portone si chiude con un tonfo mentre saltello sull’ultimo scalino. Il mio affezionato Muffi mi aspetta scodinzolando sul pianerottolo.
Rasentiamo l’angolo del caseggiato con i soliti passi regolari.
Sottovoce, accoppiata al cagnolino, pronuncio: «Facciamo il nostro giro?» Poi premo col piede sul pedale metallico del bidone dell’immondizia che, parendo irritato, stride un sonoro Iiiicc. Quasi contemporaneamente: Flook, risponde il levarsi automatico del coperchio.
Di slancio il mio braccio destro punta in direzione della gola appena aperta. Le dita, come chele meccaniche, si schiudono di scatto stirandosi; assomigliano alle bacchette di un ombrello aperto, cedono volentieri alle fauci fiatanti il boccone semilucido, mentre la luce del lampione rifrange spazi chiaroscuri.
Spinte dall’aria, ombre d’acacia danzanti rimbalzano sulle gobbe e le cavità interne, accentuano vapori e riflessi di un paesaggio insolito.
Intorno a noi non c’è anima viva. Un attimo di brividi sulla pelle. Penso: “Scenario da coprifuoco, m’inquieta.”
Entro pochi secondi risuona un cinguettio. Mi rincuora. Pace del mio animo.
Con la mano stringo l’amuleto per centrifugare il mazzo di chiavi, un esercizio che ripeto spesso quando sono rilassata. L’aria tiepida mi accarezza le guance, solletica i polpastrelli dei piedi affacciati in fila sul morbido parapetto dei sandali.
Il silenzio è di nuovo interrotto da un brusio di foglie, seguito da un misterioso borbottio. Distinguo bene il lamento: «Ah! Ahi!»
Non solo questo. Una vocina bambinesca mi chiede: «Ehi, maleducata, perché mi maltratti?»
Mi domando: “Chi sta parlando e, a chi?” Lo sguardo scruta attorno. Non c’è nessuno, solo noi due. “Qualcuno mi chiama…” deduco.
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Mi fermo. Muffi copia l’atteggiamento sistemandosi accanto a me. Aggrotto le sopracciglia, tra lo sbigottimento misto a tensione e curiosità. Orecchie attente in ascolto… ma non sento più nulla.
Rifletto: “Che stupida. La stanchezza causa le allucinazioni, mischia i rumori, li esalta.” Inizio a muovere qualche passo e, rivolgendomi a Muffi, ad alta voce ammetto: «Meglio camminare, ci distende, toglie le tens…» Non riesco a finire la frase.
Eccola di nuovo, la stessa voce ma, questa volta meno netta: «Aiuto, ti prego!»
Mi blocco all’istante, mi dico sorridendo: “È uno scherzo.” Riprendo a camminare, ma un attimo dopo distinguo chiaramente le parole: «Non andartene, non abbandonarmi.»
Risoluta decido di capire da dove provenga il suono. Sembra proprio sia parte del contenitore aperto qualche minuto fa.
Mi fermo ancora a riflettere: “Gatti nella spazzatura se ne trovano! Questo, però non mi sembra un miagolio.”
Come poco fa sono davanti al bidone e, senza aspettare che il coperchio si alzi mi affretto a guardare; scorgo un cumulo di macerie, cose di cui le persone si sono sbarazzate. Non si tratta di uno spettacolo divertente e nemmeno di odori gradevoli.
«Finalmente!» esclama. «Il tuo sacco mi preme sulle vertebre e mi fa…» Sillaba: «Mol-to ma-le!»
Medito dubbiosa: “Sto sognando?” O sono pazza, concludo.
Il richiamo continua: «Cos’hai messo nella tua borsa! Se non me la togli di dosso al più presto, a parte la mia capigliatura ormai spettinata, potrei sfracellarmi le ossa!»
Mi assale il senso di colpa. Ho fatto del male a qualcuno?
Angosciata dal lamentio, d’impulso replico: «Non vedo altro che sacchi di plastica.»
«Guarda meglio, sposta il tuo» controbatte all’immediato.
Eseguo inebetita, mossa dallo stupore, poi la sorpresa! Seguo con sguardo attento lo sgranchirsi di un essere vivente.
«Brava, e adesso non indugiare!» mi incita alzandosi. «Ora puoi distinguermi, ovvio, sono vivo e possiedo risorse utilizzabili a lungo, come tanti miei simili.»
In realtà lo trovo un poco sciupato.
Cerco di acciuffarlo per le estremità. Scontroso si scansa e, con impeto mi rimprovera: «Attenzione, la mia pelle è ammaccata e va trattata con cautela!» Poi si scusa e garbatamente aggiunge: «La mancanza d’acqua mi ha reso più fragile.»
Delicatamente lo aiuto a ripulirsi da polvere e briciole. Appaiono le sue forme nodose, la luce diretta del lampione scopre le grinze della pelle e la piacevole nuance rossastra dei petali. Riesce a malapena a reggersi in piedi per qualche secondo, grazie alla stampella formata dalla zolla di terra da cui fuoriescono radi capelli arruffati.
Mentre lo guardo mi spiega: «Qui dentro sto stretto da troppo tempo, non so perché mi ci hanno gettato. Ieri mattina me ne stavo tranquillo a parlare col sole; a dire il vero lo interrogavo per conoscere in anticipo durata e giorni delle sue apparizioni, ero interessato alle sue ore di luce e di calore garantite nel prossimo semestre, per potermi risvegliare dal sonno invernale e fiorire col caldo mostrando il meglio di me.»
Il suo respiro si fa più pesante, ansima. «Cercavo di programmare la fioritura, quando un lungo bastone ha interrotto la comunicazione, posandosi tra me e l’astro luminoso. L’intruso certo non mi scoraggiava! Ho cercato subito di riprendere il dialogo ma, una ferita di lama d’acciaio mi ha tolto le forze separandomi dalla terra dove risiedevo. Infine, due mani rapide mi hanno sfrattato dalla mia casa.»
Con voce debole prosegue: «Le grida d’aiuto dei vicini non sono riuscite a commuovere il giardiniere. Mi ha avvertito: Io sono solo un esecutore e mi è stato imposto di farti sparire da qui!»
Poi riprende in tono deciso: «Lui mi stritolava tanto che non riuscivo né a parlare né a piangere. In breve non ho avuto più forze per difendermi. Triste e scosso dalla sgradita sorpresa, son finito qui come una cosa inutile.»
Fissa lo sguardo sui miei occhi. «Ora dimmi la verità: ti prenderai cura di me?»
Sono commossa. Rispondo, senza esitazione: «Certamente.» E per incoraggiarlo: «Credo che tu abbia tanta energia!»
Corro col pensiero all’aiuola spoglia e gli confido: «Ho già trovato un posto ben soleggiato, accanto ad altri vegetali.»
Raccoglie tutte le sue forze, si avvicina e mi bacia emettendo un profumo squisito che inspiro con piacere.
Sono trascorsi tre mesi e il geranio carminio si è irrobustito nel giardino. Con la sua presenza cerca di allietarmi le giornate e di difendermi dagli insetti dannosi.
Ogni giorno mi ringrazia per avergli restituito la vita, mi racconta episodi del suo passato e mi svela i suoi progetti, ed i suoi segreti.
© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto
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