Ai margini del lago, nella sua intera e maestosa presenza si ergeva la foresta. Alta, prorompente e tenebrosa, si rifletteva sulle acque del magico specchio che fungeva da ponte tra la collina e la pianura. La morbida sabbia costruiva un sentiero sinuoso che si muoveva tra gli imponenti tronchi, fino a spingersi nei meandri del fitto bosco. Piccoli cespugli contornavano il percorso inebriando l’aria con i purpurei frutti: bacche e fragoline, leccornie del sottobosco.
Addentrandosi, il sole sperdeva i suoi raggi tra i rami, la luce si ottenebrava e l’aria diveniva più fresca. I versi degli animali si mescolavano nel sovrapporsi di suoni, tipici ritmi della selva che incutevano il mistico terrore. Ogni cosa cambiava colore oscurata dai folti rami, deformando i contorni, distorcendo le visioni e così, due rami intrecciati apparivano come le mani di un orrendo mostro, pronte a sferrare la presa. Ma non tutto occultava misteriosa paura.
Nella radura, in uno squarcio tra le braccia degli alberi, la luce brillava sull’erba filtrando piccole stelle di sole. In quel grazioso angolo di paradiso si celavano le minuscole case di deliziose creature, tenere Fate vestite di magia, serafiche anime dai lunghi capelli dorati, occhi grandi come laghi su eterei volti luminosi, labbra carnose e orecchie a punta. Dolci, meravigliose anime dal cuore gentile.
Così minute e tanto potenti, le Fate erano pronte, con tutte le forze, a proteggere il loro mondo, la Natura, i loro teneri collaboratori, gli animaletti del bosco. Gli Gnomi, di poco più grandi delle amiche Fate, nascondevano le loro case tra i variopinti cespugli, ma erano sempre lì, immersi tra i boschi a costruire attrezzi, ad organizzare banchetti. Servitori e padroni dello stesso mondo, pronti a difendere, a nascondere la loro vita e nel contempo a viverla al meglio, al servizio di Madre Natura.
L’estate era alle porte, e il Piccolo Popolo fremeva nell’allestimento della Festa del Solstizio. Gli Gnomi legnai costruivano insigni tavoli intagliando grandi rami, ornandoli con foglie di betulla e disponendoli in cerchio. Certo erano pesanti da trascinare ma ognuno collaborava, nessuno si risparmiava. Gli Gnomi fiorai invece intrecciavano ghirlande di rose, senza spine, da appendere intorno formando un mirabile circolo fiorato. Infine, gli Gnomi pasticcieri preparavano dolci succulenti con i frutti raccolti.
Le Fatine erano intente ad organizzare, nei minimi particolari, tutti i preparativi, ognuna con la sua storia da raccontare, nel Grande Cerchio di Fuoco per suggellare la sua magica vita a Madre Natura.
Una tra tutte, una giovane Fata di nome Gioia, intrecciava la sua lunga chioma con petali di rose. Sedeva su un tronchetto di fronte ad un triangolo di specchio, fissava, senza vedere, la sua immagine riflessa, il suo cuore era in tumulto e l’anima trepidava d’attesa. Quella, sarebbe stata la sua sera!
La leggenda narrava di unioni magiche tra Elfi e Fate, ma solo se appartenenti alla stessa Terra. Il Fato volle che un giovane Elfo guerriero, di nome Tesoro, si trovasse a dimorare nelle Nuove Terre, e il cuore di Gioia ne fu rapito. Lui era forte, diverso dagli Gnomi: maestoso, muscoloso, fiero. I suoi capelli erano nero corvino e i suoi occhi verdi come smeraldi. La sua carnagione era scura, dacché faceva parte di una particolare razza di Elfi, gli Elfi della Notte, ma questo lo rendeva ancor più affascinante e tenebroso.
Tesoro fu ritrovato, ancora fanciullo, vicino alle Terre del Nord. Errava senza meta, ferito e impaurito, alla ricerca di un rifugio. I suoi genitori erano stati uccisi dai temibili Troll, infidi mostri dal color del fango, portatori di distruzione e morte. Per questo gli abitanti del Nord divennero guerrieri, per proteggersi dai Troll e per cercare di salvare le piccole Fate dai saccheggi.
Il Destino si mosse affinché il piccolo Elfo si dirigesse verso le Nuove Terre, e fu così trovato da uno Gnomo fabbro e sua moglie. Lui non parlò mai di quel giorno ed accettò di buon grado la sua nuova famiglia, benché di razza differente dalla sua. Fu cresciuto nell’amore e nel rispetto, lontano da ogni malvagità e questo formò in lui una encomiabile personalità.
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Nel tempo in cui divenne un giovane cominciò a presiedere alle feste delle Fate, fu in una di quelle occasioni che incontrò Gioia. Mentre era intento a forgiare candelieri da piantare nel terreno, in onore del Solstizio, incrociò la giovane Fata, anch’ella impegnata ad ornare gli stessi candelieri, con corolle di margherite e fiori di biancospino. I loro sguardi si trovarono e fu subito amore.
Tesoro ammirava la chioma lucente di Gioia, i suoi occhi grandi e blu, le labbra piene e la pelle ambrata. Mai aveva visto creatura più bella! Iniziarono a parlare da subito, senza remore, pronti a confrontarsi e conoscersi. Quella, fu la loro prima festa insieme.
Lungo il correre del tempo, il Vecchio Saggio si accorse del loro segreto amore e fu costretto ad intervenire, convocando per un consulto ufficiale gli Gnomi della Legge, la Regina delle Fate, e le Fate Governatrici della Pace tra i Popoli.
Nella sua vecchia casa, incastonata tra i tronchi di una quercia antica, attendeva silente il gruppo posizionatosi su un palchetto dietro ad un grosso leggio, sul quale era posto un imponente libro: il Grande Libro delle Leggi. Con i suoi occhietti furbi il Saggio scrutava, indicando con un dito i vari codici.
«In base al secondo articolo della Legge sulle Unioni tra Elfi e Fate, mai, e ribadisco mai, un Elfo delle Terre del Nord potrà contrarre matrimonio con una Fata della Nuova Terra.» Così dicendo, lanciò uno sguardo significativo alla Regina che, a sua volta, lo rimirava infastidita.
© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto
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