Attorno ad un grande castello, c’era un bellissimo giardino dove i fiori e le piante prosperavano tutto l’anno ed i fiori erano una vera leccornia per gli insetti che vivevano lì.
Le acque di due fiumiciattoli scorrevano tranquille e così trasparenti da sembrare specchi in movimento… Insomma era un vero paradiso terrestre e gli abitanti del vicino borgo non osavano entrare in quel bel giardino, per non sciupare la soffice erba che faceva da tappeto.
Solo un giardiniere poteva entrare. Ogni mattina Sam, un giovane scelto dal signore del castello per la sua aria semplice e innocente, ma soprattutto perché amava la Natura, entrava quasi in punta di piedi in quel fatato giardino e, al suo passaggio, sentiva un gradevole ronzio girare intorno alla sua testa, mentre dai suoi capelli neri cadevano goccioline di rugiada che per qualche magia non bagnavano i suoi vestiti… lui non si era mai accorto che le goccioline di rugiada fossero le Fatine dei Fiori che lo ringraziavano del suo lavoro!
Sam era felice quando s’inoltrava in mezzo a quei sentieri, e si inebriava dei soavi profumi dei fiori che accarezzava con le sue forti mani e non permetteva a nessuno, nemmeno al più piccolo insetto, di rovinarne i bei petali colorati.
Un giorno, un grosso calabrone nero si avvicinò ad una rosa per succhiarne il nettare, ma la rosa abbassò subito il suo bel fiore e il calabrone non fece in tempo a riprendersi dall’inconveniente, che cadde a terra.
Le sue ali lo salvarono e in un attimo rivolò vicino alla rosa. Arrabbiato le disse: «Ma che ti salta in mente? Il tuo polline, lo sai, è il mio cibo, io non posso vivere senza di te!»
La rosa si scrollò e il calabrone, avvicinandosi di nuovo, vide che qualcosa si muoveva all’interno dei petali: era una Fatina paffutella che, piuttosto furiosa per l’intrusione, non voleva che il calabrone entrasse e così turbasse il suo sonno in quel morbido letto giallo.
«Vai via, non vedi che sto dormendo? Tu non sei di questo giardino e non puoi entrare!» lo scacciò lei sgarbata, e tornò a sonnecchiare richiudendosi i petali addosso.
Il calabrone ebbe quasi timore, non sapeva che le Fate abitassero dentro i fiori e che ne fossero talmente gelose. Si allontanò allora un po’ impacciato per posarsi sopra una spalla di Sam.
Il giovane giardiniere aveva ricevuto in dono il potere di comprendere il cinguettio degli uccelli, il frullo degli insetti e il fruscio delle foglie, le Fate del giardino gli avevano concesso questo potere per la sua simpatia e l’enorme rispetto che egli dimostrava per la Natura.
Il calabrone mogio mogio e quasi piangendo chiese a Sam: «Come potrei nutrirmi? Non posso succhiare il nettare dei fiori perché disturbo le Fate… il polline però è la mia vita!»
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Sam lo rassicurò, promettendogli che avrebbe parlato con la Grandefata per risolvere il problema, e così si recò nel vasto rosaio dove abitava la Regina delle Fate. Mentre camminava per raggiungere l’odoroso cespuglio delle rose regali, udì un parlottio, rumori di petali che delicatamente si spostavano cadendo a terra, tintinnii di bacche che si aprivano per far cadere i loro semini…
Nell’istante in cui apparve Sam, come per magia, ci fu silenzio nel roseto e lui poté con molta calma raggiungere la Fata Regina che sedeva su una bella rosa bianca, con tanti boccioli verdi che formavano la sua corona.
«Grandefata!» umilmente s’inchinò. «Il calabrone vorrebbe sapere come fare per giovarsi dei vostri fiori e succhiarne il dolce nettare.»
La Grandefata spiegò a Sam che il Consiglio delle Fate, aveva deciso che poteva nutrirsi del loro nettare solamente l’insetto che fosse stato riconosciuto puro e, principalmente, pulito dalle impurità dei concimi degli altri giardini. Inoltre, chi fosse entrato nel Giardino delle Fate non ne sarebbe più uscito, a meno che non si fosse prostrato ai suoi piedi per ricevere il permesso.
Sam si allontanò e riferì al calabrone le parole della Grandefata, ma il calabrone si sentì pressappoco umiliato per quella presuntuosa richiesta, anche se sapeva che entrare nel giardino e rimanerci per sempre sarebbe stato un sogno, giacché avrebbe potuto saziarsi ogni volta che avesse avuto fame, giocare con gli altri insetti, insomma avrebbe avuto una vita felice. Però, avrebbe perso la libertà.
Uscì da quel giardino a testa bassa e quasi non riusciva a volare. Il suo stomaco vuoto reclamava e l’ambiente circostante era tutto brullo, gli Umani non avevano voglia di lavorare la terra e i fiori non avevano la forza di aprirsi, anche se il Sole, ogni giorno, li incitava a non lasciarsi indebolire.
Ma, come potevano essi aprire le loro corolle se l’acqua non li dissetava? Così preferivano chiudersi in loro stessi ed accasciarsi sconsolati a terra.
Il calabrone, vagando sconfortato tra i campi aridi, incontrò due amiche api che erano nella sua stessa situazione. «Care amiche, dove state andando?» domandò gentilmente.
«Siamo alla ricerca di buon cibo, sono giorni che non mangiamo, non riusciamo neanche più a volare…» risposero tristemente le due api.
Allora il calabrone raccontò ciò che aveva visto nel Giardino delle Fate e del colloquio avuto con la Grandefata. «Amiche mie, penso che dobbiamo prendere al più presto dei provvedimenti, se non vogliamo finire come i fiori arsi dal sole!»
Ormai le loro forze erano agli sgoccioli, perciò insieme presero la più grande e sofferta decisione della loro vita: sarebbero entrati nel Giardino delle Fate ed avrebbero accettato le condizioni della Grandefata. Almeno si sarebbero salvati!
Svolazzando si addentrarono nel bel giardino, la loro tristezza stava sparendo, si sentivano allegri e rincuorati da questa loro promettente decisione.
«Che meraviglia!» esclamarono incantati. «Ma qui è un paradiso per il nostro stomaco!»
Un Folletto verde che stava a guardia del giardino si approssimò a loro per scortarli dalla Grandefata e, lungo la strada esordì: «Avete pensato bene a cosa andate incontro? Non potrete più uscire da qui! Noi Folletti faremo sempre la guardia e il nettare che succhierete dovrete in parte lasciarlo alla Grandefata, che lo trasformerà in miele per lei e le sue Fate.»
Il calabrone e le api ormai avevano deciso: mangiare e vivere in cambio della libertà!
La Grandefata li accolse con entusiasmo, e con la sua bacchetta magica li cosparse di una polverina che li depurò dai pesticidi degli Umani, e così poterono volteggiare felici nel giardino.
Sam non aveva assistito alla cerimonia, ma appena sentì nell’aria un profumo più intenso dei suoi fiori, capì che altri ospiti erano entrati a far parte del Giardino delle Fate, insetti che avevano preferito accettare la Magia delle Fate e vivere in un giardino fiorito piuttosto che penare per trovare un bel fiore su cui posarsi, e rischiare contemporaneamente di morire per i veleni che gli Umani usavano nella loro vita quotidiana.
L’intenso profumo fu accompagnato da un vocio felice: erano le Fatine dei Fiori che danzavano perché degli insetti buoni erano venuti a coccolarle, entrando nelle corolle dei loro fiori… alcuni solleticavano anche i loro petali e li utilizzavano per dondolarsi, e tutto questo era così piacevole!
Il Giardino delle Fate è tuttora lì, che pullula di Fate e di insetti buoni, per portare tanta armonia e gioia alla Natura… per aprire i nostri cuori al sorriso, e farci godere delle belle cose che le Fatine laboriose preparano ogni giorno, per noi Umani.
© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto
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