IL PONTE DEL FOLLETTO di Fosco Baiardi

La carrozza percorreva dondolando la strada di terra battuta che attraversava la foresta. Il postiglione guidava prudentemente i quattro maestosi cavalli tra i rami più bassi degli alberi, che frusciavano, sibilando lievi, sulle lanterne della vettura. All’interno una giovane marchesa viziata guardava il paesaggio, con aria svogliata e profondamente annoiata.

«Odio la foresta!» esclamò a beneficio dell’anziana serva che la accompagnava ovunque. «Fosse per me taglierei ogni singolo insulso albero di questo maledetto posto!»

«E a che scopo?» domandò sorridendo bonaria la vecchietta.

«Bah!» sbottò acida la giovane. «Nuova terra da coltivare per i bifolchi e più introiti per mio padre!»

«Ma la foresta…» provò ad obiettare la serva, tuttavia la marchesa la liquidò con un cenno svolazzante della mano.

«Non mi interessano le tue stupide idee, Ionia!»

L’anziana donna abbassò la testa, scuotendola con disapprovazione.

La carrozza si arrestò di colpo, mentre si udiva la voce pacata del cocchiere che quietava i destrieri. Stizzita, la marchesa cacciò fuori la testa dal finestrino per indagare sulle cause di quella inattesa fermata, di cui Ionia approfittò per scendere dalla carrozza e respirare un po’ d’aria fresca e fragrante.

Il cocchiere e la guardia armata parlottavano confusi, dinanzi ad un massiccio ponte fatto di grossi blocchi di pietra grigia.

«Cosa non va in quel ponte?!» recriminò aspra la marchesa, seguendo impettita la sua serva.


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«Mia signora…» rispose sconcertato l’uomo d’arme. «È che… è troppo stretto, la carrozza non può passare.»

«Ma che sciocchezza! Chi mai costruirebbe un ponte di pietra sul quale non possono transitare le carrozze?» Però, allorché si volse a studiare l’insolita costruzione, dové ammettere che l’armigero aveva ragione: il ponte era davvero troppo stretto per la carrozza.

Maledisse tra i denti il responsabile di una simile idiozia. «Ed ora come faremo ad arrivare al castello?»

«Forse dovremmo tornare indietro al bivio e prendere l’altra strada» propose il cocchiere con buona creanza.

«Ovvio! Perché non ci avete pensato prima? Sono contornata da un branco di inetti!» borbottò la smorfiosa mentre ritornava alla carrozza.

«O forse…» abbozzò sovrappensiero Ionia.

«O forse cosa?» incalzò la nobildonna, alla quale non era sfuggita l’esitazione della vecchia.

«Beh, questo ponte dev’essere la dimora di un Folletto, che vive sotto la sua arcata. Ne avevo sentito parlare, si dice che stia proprio da queste parti.»

«Un Folletto?» riecheggiò la giovane sghignazzando incredula.

Gli uomini si avvicinarono alle donne, incuriositi da quella strampalata teoria.

«Ammesso che esista davvero, a cosa ci serve sapere che lì sotto abita uno Gnomo?» postulò la marchesa seccata.

«Non uno Gnomo, un Folletto!» puntualizzò la vecchina spazientita. «Non fatevi mai sentire da uno di loro che li confondete.»

La fanciulla alzò gli occhi al cielo con ancor meno pazienza.

«Comunque la signora ha ragione» intervenne pacificamente la guardia. «A che ci occorre sapere del Folletto… Il ponte è stretto, non ci passiamo, cosa potrebbe fare un mostriciattolo per rimediare?»

«I Folletti non sono mostriciattoli, sono solo spiritelli dispettosi che adorano tirare scherzi ai viandanti. Scherzi che non sono tanto leggeri, in verità, come ruote spezzate, alberi abbattuti in mezzo alla strada o ponti ristretti tramite magia. Ma, come loro creano, possono anche disfare, e un ponte stretto può tornare ad avere dimensioni ragionevoli.»

«E come si fa ad obbligare un Folletto a far quello che vuoi tu?!» s’innervosì la marchesa, calcando con rabbiosa ironia la parola Folletto.

«I Folletti sono creature anche molto vanitose, ma soprattutto golose. Per chiedere loro un favore si offre del cibo…» illustrò Ionia con moderata calma. «…sperando che sia di loro gusto.»

«Pure!» proruppe la nobile.

«Ora tornate alla carrozza, qui ci penso io» la incitò Ionia per evitare di degenerare.

Al riparo dietro la vettura, i tre osservavano la vecchia ammucchiare, in un piatto di coccio, un po’ di frutta presa dal paniere di provviste che aveva portato per il viaggio, e poi deporlo sull’imboccatura del ponte, farfugliando qualcosa di inintelligibile.

Aspettarono pochi istanti ed un esserino dalla pelle verdastra e rugosa, la bocca imbronciata e i tondi occhi nerastri si arrampicò agilmente sul ponte piombando, in men che non si dica, sul piatto delle offerte. Vestiva una larga casacca marrone legata in vita da un pezzo liso di fune; marroni erano pure le scarpe a punta, mentre il morbido e grosso cappello era di un giallo spento, reso opaco dallo sporco.

Si chinò sul piatto annusando e studiando i frutti sistemati dalla vecchia che, a pochi passi dalla creatura, era piegata in segno di deferenza.

© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto

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