Quello che appare non sempre è realtà. Le persone fingono, anche soltanto per proteggersi.
Questo romanzo è il primo capitolo della Dinastia Wright, ambientato a Boston, nella seconda metà del secolo scorso, ed è la storia del capostipite di questa nobile genesi, in cui si narra della disperazione di un uomo segnato dal suo destino, un uomo sensibile ma austero, un uomo che si ritrova a fingere, a schermare il suo cuore per proteggersi, per non farsi sopraffare dall’ambiente societario che vive, costretto dal dolore scolpito nella sua anima, radicato.
Orbene, il senso di questa narrazione, è che qualunque sia la maschera indossata, qualsiasi sia il travestimento sociale, non bisogna rammaricarsene, colpevolizzarsi di essere mendaci e dissimulatori di sé, perché a volte fingere è necessario. Non è detto che sia solo per ottenere qualcosa di egoistico e riprovevole, anzi, talora è vitalmente indispensabile, se s’intende in questo modo proteggere il proprio cuore dalla sofferenza, se si crede di non possedere le forze sufficienti per contrastarla, per distruggerla dalla propria esistenza.
Tuttavia aprirsi alla persona giusta, una persona che può perfettamente capire, sentire il nostro tormento, percepire il nostro grande dolore, può permetterci di liberarci da questa prigione, la cura migliore per la malattia della nostra anima.
Ed è in base a tali presupposti che sopraggiungerà l’amore, una donna che sarà capace di capirlo, di amarlo, di permettergli di dimenticare. Ma lui dovrà aprirsi, non dovrà più schermarsi, altrimenti dissiperà l’ultima, unica chance per riconquistare quella felicità un tempo vissuta, drammaticamente divulsa, un futuro sterile, una sofferenza eterna.