I segnali del destino, sopraggiungono per condurci a comprendere che non bisogna mai rassegnarsi ad una vita povera di sentimenti. Mai accontentarsi di un’esistenza sterile quando si potrebbe reclamare di più, quando si potrebbe avere l’amore, perché prima o poi ciò che desideriamo, se combattiamo, se ne vale la pena, arriverà.
Questo romanzo è il secondo capitolo della Dinastia Wright, la storia dell’erede Wright, distinta ma congiunta alla precedente narrazione, e che si svolge quasi venticinque anni dopo.
Lui possiede un carattere sorprendentemente simile al genitore, sono simili anche nell’aspetto. Identici negli occhi chiari e cristallini, pressoché di ghiaccio, pur permeandone di gran lunga una luce diversa, quella del padre è briosa e paga, piena, vivida, grazie alla vita meravigliosa che vive con la moglie, mentre quella di lui è altamente fredda e scostante, e non perché insensibile o una persona coriacea, perché non è felice, tutt’altro. Però non rivela quella luce che unicamente l’amore può generare, la felicità che di conseguenza ne giungerebbe ad allietare ogni suo singolo momento vitale.
Lui di fondo è un calcolatore, algido ed altero, persino nei sentimenti umani, quantunque il suo fine ultimo sia di creare una famiglia. Tuttavia non fa debiti conti con il suo destino, che attraverso quei fatidici segnali, dopo averlo condotto a conoscere una donna che lo affascina al primo sguardo, lo conduce altresì a ribaltare la sua esistenza, il suo modo di pensare, vedere, guardare alla vita.
E fortunatamente lui li coglierà, avrà ascoltato il suo destino, avrà ascoltato il suo cuore. Rivedrà la luce, la sua stella, e capirà che non dovrà mai più arrendersi, l’unico al quale dovrà farlo è quell’amore, quel destino che gli ha donato il cuore, che gli ha donato se stesso.