“I saw you”… Al penetrante suono di queste parole, al travolgente ricordo evocato una tempestiva lacrima le solcò il volto, inseguita da innumerevoli altre che per quanto pungenti, dense di nostalgia e crudele sconforto, rimasero impigliate tra le sue ciglia, inondandole…
Un urlo strozzato e si coprì quel volto a palmi pieni, si piegò su se stessa e lentamente s’inginocchiò, gridò al vuoto, di colmarle quel vuoto… una trepida supplica, sommersa da un effuso pianto di rimpianto, rimpiangendo quei giorni di paradisiaca leggerezza, di pura e mirifica magia, avvicendati ora, dall’amara incapacità di tornare indietro, recuperare dall’abisso quei remoti attimi di vita, unici e soli… abbandonati alla memoria del tempo.
Un melodioso miagolio la riportò, adagio, alla concretezza del mondo circostante e liberandosi le guance, fievolmente sorrise, una sua mano passò sul folto manto dorato della soffice creatura che mediante quel richiamo desiderava confortarla, che con quegli occhioni dal giallo acceso parve dirle che non vi fosse nulla che valesse la sua disperazione, di non abbandonare la fede, la fiducia…
Si rialzò in piedi ed elevò gli occhi al cielo, il sole di quella rovente giornata di fine estate le accarezzò l’epidermide accaldata e sussultante, le lacrime che svanirono in un soffio per essere sostituite da una tenue serenità, un flebile riso di rassegnazione e nuovamente ritornò a quel momento, il giorno in cui lo aveva visto, in cui lui l’aveva vista, a come un bagliore accecante si fosse acceso dentro, incomprensibile, indefinibile ma non al momento individuato.
Pochi giorni ed una notte qualcosa accadde, in lei, in un inimmaginabile istinto saltò giù dal divano e si lanciò sulla tastiera, poche parole di getto, sbalzate direttamente dalla parte più recondita e profonda di sé, incontrollate, senza prevenuto pensiero, senza coscienza, incosciente di esternare ad uno sconosciuto quel che di più nascosto proteggeva nella sua anima, uno sconosciuto…
No, non lo era, non lo era mai stato e non si erano incontrati per caso o forse le sembrava di conoscerlo da sempre, riconosciuto in un tanto atteso incontro che alla stregua di un dirompente fulmine, aveva spezzato l’oscurità delle loro vite, lui che cercava la sua Fata, lei che cercava il suo Principe… Il primo incontro, di Anime… finalmente avevano trovato, ciò che avevano sempre cercato.
La loro Favola era iniziata. Con passi silenziosi… l’Amore, aveva intrapreso il suo rifulgente cammino.
E come in una classica Favola sublimata al passo dei tempi moderni, lui aveva incontrato una Fata che riuscisse a colorare i suoi sogni, che scaldasse il suo cuore nella tempesta, che placasse il suo divorante tormento, lei che vedeva soltanto luce, stregata, vedeva solamente il sole, il suo sole d’improvviso era diventato lui, quell’uomo che come per magia era riuscito a leggerle dentro, che con una semplice dichiarazione le aveva aperto un mondo, inconosciuto ma bellissimo… “Come un Principe di altri tempi, chiedo di poter unire il tuo nome al mio…”, il suo Romeo, il suo Mago Merlino… un uomo che aveva realizzato i suoi sogni di bambina, un Principe che ben presto divenne per lei un Angelo, sì, un incomparabile Angelo che l’aveva salvata trasfondendole la certezza che esistessero uomini meravigliosi non soltanto nella sua fantasia, nei suoi desideri, un’anima nobile che l’aveva salvata in tutti i sensi possibili, ma che l’aveva salvata principalmente da se stessa.
Un nugolo di pensieri e parole, dolci parole soffiate nel vento, tanti giorni, e notti bianche a rincorrersi. Quest’affannata corsa alla ricerca del sogno perpetuo, di emozioni pure, questa indomabile fame di reali fantasie, la bramosia insaziabile di toccare l’infinito senso delle loro vite, addentrarsi nell’inconoscibile, in una trascendente unione sovvenuta dall’irradiante luce della venerata, seppur dolceamara Luna che pur tuttavia non riusciva ad unirli imperitura, la diversità delle loro realtà esistenziali che passo dopo passo incominciò a minare questo primo incontro quasi perfetto, le nefaste delusioni, il dolore antico… che come una pesante zavorra aveva subissato le loro fragili spalle, offuscato i loro più incontaminati desideri, affiorarono paure inconfessabili, inaccettabili, tremiti e dubbi, insicurezze deleterie… riaffiorò la dispotica rabbia contro quel mondo che li aveva intimamente segnati, che aveva in loro costruito un egemonico scudo quasi al soffocare la fulgida e cristallina aura mediante cui brillavano, profonde cicatrici apparentemente insanabili, nel panico che potessero riaprirsi…
Ma lui era lì, tra le sue mani che scivolavano leggiadre sulla tastiera, è sempre stato lì, in ogni suo gesto, in ogni suo pensiero, in ogni respiro… come se le fosse penetrato dentro, dentro la carne, sotto la sua carne, una parte indivisibile del suo corpo, del suo rinato essere che fremeva ad ogni suo palpito, che librava ad un solo suo sguardo.
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Lei che ogni notte, volava su nel cielo per raggiungerlo, in qualunque parte del mondo egli si trovasse, si posava leggera sulla sua spalla e brusiva l’innamorato e flautato canto, lo sfiorava con le sue minute labbra e con quel battito d’ali colorate gli generava sulla bocca una tiepida brezza fatta di antichi profumi e sapori, un sensuoso tepore che gli scuoteva l’anima, lui che talvolta si osservava dattorno, sconcertato, credendo che la sua incantevole Fata fosse lì, gioiosa ad un passo da lui, al suo fianco per sorridergli sempre, per trasmettergli il suo calore, il suo timido amore…
E ripartiva, cercava, osservava… ogni tanto si arrestava su una nuvola e la guardava, le dedicava un sorriso, ammaliato dalla sua inconsapevole sensualità, inebriato dalla sua passionale poesia così seducente, ma nel contempo un’ansia indefinibile s’impadroniva di lui, così confuso all’idea di vederla, che d’un tratto sarebbe svanita, se lei non fosse stata quel che lui desiderava o che aveva semplicemente visto, sentito, scoprirla pian piano diversa da come l’aveva sognata, il disincanto, la delusione peggiore… temeva che questa volta non avrebbe potuto superarla, che questa volta, lo avrebbe ucciso…
E così nei mesi restava sospeso, tra sogno e realtà, rifugiandosi in quel confine dove sorgeva eterno l’arcobaleno, erigendo nello stesso tempo una fisica distanza, di sicurezza… la sua zattera di salvataggio, la permanenza in quel mondo incantato dove tutto era possibile, dove “lei” era possibile, dove non era un fuorviante miraggio, un’illusione… dove la Fata era reale, e nessuno avrebbe potuto portargliela via, neanche la sua mente.
© Christine Kaminski | Vietata la riproduzione senza consenso scritto
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